Le nuove tecnologie nella didattica a distanza per l’emergenza Covid-19

Le nuove tecnologie nella didattica a distanza per l’emergenza Covid-19

Le tecnologie nella didattica non sono una novità ma occorre riflettere sull’uso nella didattica a distanza

Le tecnologie nella didattica a distanza
L’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica, specie nella didattica a distanza che da qualche settimana è divenuto tema rovente a causa dell’emergenza sanitaria, non costituisce affatto una novità.
Si tende erroneamente a pensarlo perché sono nuovi gli strumenti tecnologici che vengono di volta in volta introdotti, ma non è nuovo, in generale, l’utilizzo di nuove tecnologie nella didattica.
Per avere un’idea dell’evoluzione dell’uso delle tecnologie applicate alla didattica suggeriamo la lettura di un paio di testi.
Il primo è di Larry Cuban, professore emerito della Stanford University e presidente della American Educational Research Association, che nel suo testo “Teachers and Machines: The Classroom Use of Technology Since 1920” (Insegnanti e macchine: l’uso in classe della tecnologia a partire dal 1920) ripercorre la storia di film, radio, televisione e computer nel sistema educativo americano fino ai primi anni ’80 del secolo scorso.
Il secondo testo, utile a comprendere l’evoluzione dell’uso delle tecnologie nella didattica, conferma le conclusioni del Professor Cuban sui computer nelle scuole fino ai primi anni 2000, ed è “The Flickering Mind: The False Promise of Technology in the Classroom, and how Learning Can be Saved” (La mente fluttuante: come salvare l’istruzione dalle false promesse della tecnologia) del giornalista Todd Oppenheimer.
Si tratta di due autori che hanno esaminato la realtà statunitense ma le cui conclusioni sono applicabili ad ampio spettro.

In Italia poi in molti ancora ricordano l’uso della TV come strumento didattico, grazie al programma “Non è mai troppo tardi” organizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione e condotto dal maestro Alberto Manzi sulle reti RAI dal 1960 al 1968. Il nome completo del programma era “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta”.
Ebbene, in quell’occasione veniva sperimentata una didattica a distanza, verso chi seguiva il programma da casa (grazie alle lezioni a distanza del maestro Manzi quasi un milione e mezzo di italiani conseguirono la licenza elementare), ma anche una didattica che si potrebbe definire “multimediale” per l’impiego di registrazioni audio e filmati che a quel tempo costituiva un impiego all’avanguardia delle nuove tecnologie nella didattica.
Rifarsi a questa esperienza di ormai 60 anni fa non è affatto anacronistico. Nei primi anni ’90, sempre in Rai, è stato riproposto un remake di “Non è mai troppo tardi” mentre nel Rai Educational mandava in onda “Non è m@i troppo tardi”, un programma di alfabetizzazione informatica. Inutile sottolineare la diffusione nel mondo del format, riproposto in ben 72 Paesi.

Ma cosa ci resta di quell’esperienza e quali sono le differenze rispetto a quel tipo di didattica a distanza e le difficoltà che i docenti devono affrontare oggi nella moderna didattica a distanza?
Cerchiamo di mettere a fuoco le principali differenze.

Didattica a distanza: interattività ed inclusività
Internet, computer, smartphone e tablet hanno senz’altro il vantaggio, rispetto alle precedenti tecnologie utilizzate nella didattica a distanza, dell’interattività.
Mentre TV e radio prevedono un utilizzo didattico che relega l’apprendente al ruolo di soggetto “passivo”, è un innegabile passo avanti l’introduzione di interattività capaci di coinvolgere e riposizionare gli attori del processo didattico rendendoli fattivamente partecipi nell’apprendimento. Occorre quindi saper sfruttare la familiarità con i nuovi media che hanno gli studenti ed utilizzarla come leva per mantenere vive motivazione ed attenzione.

Ciò necessita ovviamente di un adattamento al mezzo dell’azione didattica e di una necessaria e conseguente consapevolezza, da parte degli insegnanti, delle potenzialità degli strumenti hardware e software a disposizione.

Docenti ed esperti hanno tuttavia avvertito l’esigenza di sottolineare come questa didattica non sia completamente democratica, nonostante l’ampia diffusione di smartphone con cui accedere a piattaforme e videolezioni. Viviamo in un Paese che ha ancora aree di digital divide dove è difficile avere a disposizione connessioni ad Internet adeguate per delle videolezioni.
Inoltre si fa ancor più evidente una realtà sommersa e non sempre stata presa in considerazione. Non è raro che nelle famiglie non si disponga di connessione ad Internet e di un numero di dispositivi sufficienti per consentire a tutti i membri una fruizione della didattica a distanza che rischia di diventare discriminatoria e non inclusiva.

Le tecnologie nella didattica: insegnare, con il digitale, a nativi digitali
Se avete fatto videolezioni, didattica a distanza con l’uso di qualunque software o semplicemente se i vostri figli continuano l’anno scolastico con le lezioni a distanza, vi sarete resi conto che c’è una differenza tra quella che era la didattica del maestro Manzi in TV e quella a cui i docenti sono chiamati oggi.
Il maestro Manzi non aveva competenze tecnologiche, si limitava ad insegnare, fruendo del supporto tecnico di telecineoperatori e di tutto l’apparato RAI.
Gli insegnanti invece, da quando la didattica a distanza è divenuta l’unica possibilità di proseguire l’anno scolastico a causa dell’emergenza sanitaria da coronavirus, hanno dovuto acquisire rapidamente le competenze e la familiarità con alcune App mai utilizzate prima.

I docenti scendono dalla cattedra ed entrano nell’inquadratura di una webcam. In questa situazione, impensabile all’inizio dell’anno scolastico, si sono trovati su un piano in cui gli studenti, nativi digitali, hanno, se non competenze maggiori, almeno maggiore familiarità e dimestichezza, con l’utilizzo di queste tecnologie.

Si sono quindi trovati ad operare in classi virtuali in cui non erano mai entrati prima, hanno dovuto scegliere uno o più software da usare e riadattare i contenuti didattici alla nuova situazione.

Inoltre non è facile sentirsi subito a proprio agio in una classe virtuale mentre si è fisicamente nell’ambiente domestico; occorrono competenze ulteriori per esempio per gestire le inquadrature ed evitare narici in primo piano e soffitti sullo sfondo oppure per saper gestire i problemi di connessione degli studenti.

Non c’è più il problema dei compagni di banco che disturbano la lezione in classe parlottando tra di loro ma sorgono altri inconvenienti: l’intrusione in videolezioni da parte di estranei o addirittura l’esclusione del docente da una videolezione da parte degli stessi studenti. Tutti ciò è possibile perché vengono utilizzate tecnologie nella didattica che non sono nativamente programmate per questo tipo di didattica e non consentono, per esempio, adeguati poteri di amministrazione da parte dell’insegnante che si ritrova a non poter gestire il gruppo classe come vorrebbe.
Il corpo docente è quindi chiamato ad affrontare una sfida ulteriore e ad adattarsi ad ambienti didattici nuovi, in alcuni casi del tutto alieni, con le difficoltà di sempre, come la vivacità degli studenti, che assumono però nuovi contorni.

Il ruolo insostituibile del docente e l’importanza della progettazione
Primo compito che si riconosce alla scuola digitale in queste settimane è, ancor prima che trasferire contenuti disciplinari, tenere vive le relazioni.
Aspetto particolarmente difficile perché con l’introduzione di nuove tecnologie nella didattica, si rischia di perdere di vista il fatto che la didattica, prima di essere un trasferimento di conoscenze, è uno scambio personale tra docente e studenti. Questo rapporto rischia di sbiadirsi attraverso la webcam, perché viene a mancare la vicinanza, la prossimità. A distanza è difficile essere naturali e l’empatia viene penalizzata anche dalla migliore tecnologia possibile che inevitabilmente non può restituire al 100% la vivacità della relazione.
Tutto questo rafforza l’evidenza che il docente non è mai completamente sostituibile. Il suo ruolo si esprime e si impreziosisce anche quando, all’inizio del collegamento video, saluta e chiede agli studenti “come va?” e li fa parlare. Non bisogna dimenticare, soprattutto nella didattica a distanza, che lo studente non è un mero esecutore di compiti.

Ma che cosa significa usare le tecnologie nella didattica a distanza? Non certo fare lezione agli studenti che guardano il docente come fosse in televisione altrimenti si tratterebbe di riproporre lo schema del maestro Manzi che era all’avanguardia negli anni 60 ma che oggi risulterebbe anacronistico. Allora la lezione a distanza può funzionare se è breve, precisa e se magari si videoregistra. In alcuni casi i collegamenti hanno già dei limiti imposti dai software nelle versioni edu. Le videolezioni troppo lunghe non reggono, non solo perché gli studenti possono risentire di connessioni ballerine e della congestione della rete, ma anche perché distrarsi è facile quando manca lo sguardo attento del docente o perché si utilizza per la didattica quegli strumenti che fino a poco tempo prima erano considerati solo come strumenti di gioco e di svago. Come fare quindi?

Progettare, progettare, progettare
Il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, attraverso la nota del 17 marzo 2020, sottolinea la grande importanza dell’azione di progettazione: le attività di didattica a distanza, come ogni attività didattica, per essere tali, prevedono la costruzione ragionata e guidata del sapere attraverso un’interazione tra docenti e alunni.

Pier Cesare Rivoltella, presidente del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia) definisce la progettazione come lo “studio di una sceneggiatura con la scelta di materiali da mettere a disposizione prima (della lezione), indicazioni di lavoro precise, ricorso alla comunicazione sincrona (chat e videocomunicazione) per chiarire i dubbi e discutere i problemi”.

Il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento o restituzione da parte del docente, dovranno essere abbandonati, perché privi di elementi che possano sollecitare l’apprendimento.

Proprio su questo ultimo punto si sono accesi molti dibattiti.

Se nei primi momenti di chiusura delle scuole, l’invio di compiti poteva essere non solo tollerato, ma anche funzionale, ora, dopo settimane di sospensione delle attività, è necessario e doveroso mutare la definizione delle attività.

Alcuni studenti, ad esempio, non possiedono un pc e utilizzano per le attività solo lo smartphone. Se, i problemi di connettività sono già noti, sussistono altre problematicità, non familiari per i docenti, relative all’accesso a piattaforme e contenuti digitali che non sono sempre supportate nei dispostivi mobili (non sono sempre cioè, per dirla con termini tecnici, crossplatform e crossbrowser).
In alcuni casi gli studenti non possiedono una stampante domestica; anche tra i docenti non tutti ne avevano a disposizione una e solo da poco è possibile utilizzare il bonus docenti per l’acquisto di stampanti, webcam e periferiche per la didattica a distanza, precedentemente escluse da questi benefici.

I docenti hanno poi un nuovo compito: quello di effettuare una scelta critica tra le infinite proposte che sono ora presenti. Non si tratta di scegliere una soluzione valida in assoluto, ma la scelta maggiormente inclusiva (che garantisca una reale accessibilità) per quel gruppo classe in quello specifico contesto.

Emerge la grande importanza del lavoro di squadra all’interno del corpo docenti chiamato che dovrà:

– effettuare scelte condivise (evitare ove possibile, ad esempio, la scelta di piattaforme differenti, orari delle lezioni che si accavallano… tutto ciò che può creare grande confusione negli studenti e, di conseguenza, nelle famiglie);
– fornire un supporto ai docenti che non hanno elevate competenze digitali (e su questo punto entra in gioco la figura dell’animatore digitale che assume un ruolo strategico);
– definire una progettazione precisa delle attività per evitare sovrapposizioni (occorre evitare sovrapposizioni e curare che il numero dei compiti assegnati sia concordato tra i docenti, in modo da scongiurare un eccessivo carico cognitivo).
Qualche spunto di riflessione in più, sulla didattica a distanza e sull’uso delle tecnologie nella didattica in quest’anno scolastico unico, è possibile trarlo dall’interessante numero speciale di marzo 2020 della rivista Essere a Scuola, interamente dedicato ad insegnanti e allievi in questo periodo di “scuola a casa”.

Aldo Bisi