Tecnologie per la didattica e l’insegnante tecnologico
La tecnologia a scuola
All’interno delle scuole, l’uso dei PC, della LIM, dei laboratori informatici, dei tablet evidenziano la permeante diffusione della tecnologia, che sta velocemente condizionando la stessa “azione didattica”. Appare pertanto doveroso fare una riflessione su quali sono le conseguenze della tecnologia nel nostro secolo: il “nuovo ruolo” che ha l’insegnante in classe.
Un’indagine condotta su alcune università americane ha evidenziato come le attività scolastiche sviluppate completamente attraverso l’e-learning siano rilevate perlopiù inadeguate, in quanto gli studenti presenti alle lezioni sono molto più bravi e preparati.
Questo porta a riflettere sull’importanza che diamo alle nuove tecnologie: esse infatti sono strumenti di cui disponiamo, così come lo sono sempre state i fogli e le lavagne; dobbiamo essere noi in grado di valutarne in modo responsabile e critico l’utilità e le modalità di utilizzo.
Nella pedagogia, ed in generale nelle scelte didattiche che si basano sempre di più su una combinazione di materiali e mezzi scientificamente organizzata, si affacciano in modo crescente nuovi mezzi di insegnamento e di apprendimento applicati alla tecnologia; in questo contesto l’insegnante è l’elemento cruciale di mediazione tra alunni, conoscenze, abilità e media.
LA “MENTE AUMENTATA”
Lo studioso americano Marc Prensky, sostiene che oggi gli esseri umani hanno bisogno di menti “migliori”, “aumentate”,”2.0”. I potenziamenti non stanno venendo solo o per lo più, dai rapidi progressi che stanno avvenendo nella comprensione del funzionamento fisico del cervello. È vero che le neuroscienze stanno portando alla luce nozioni rilevanti in ambito di apprendimento, come il fatto che abbiamo raggiunto la certezza che i cervelli umani (e non), cambino dal punto di vista fisico in risposta all’ambiente in cui sono inseriti, e lo hanno sempre fatto (a questo riguardo sono interessantissimi sia gli studi sull’epigenetica condotti da Bruce Lipton, che la nuova concezione del funzionamento del nostro cervello legata ai concetti della fisica quantistica). Prensky afferma però che la notizia più eclatante per l’umanità, è che la potenza del nostro cervello sta crescendo “esternamente”, tramite una nuova simbiosi con la nostra tecnologia, grazie alla quale la mente umana, cioè il cervello che usiamo tutti i giorni, sta rapidamente acquisendo ulteriore potenza e capacità: concependo il cervello e la mente in senso più ampio (e non metaforico), rispetto a quello di semplice struttura fisico-biologico-chimico-elettrica del nostro corpo, ovvero, se li consideriamo come frutto dell’interazione tra quello che sta nelle nostre teste e le tecnologie che ci circondano, ci rendiamo conto che quel che sta espandendo i nostri cervelli in questa prima parte del XXI secolo è essenzialmente la tecnologia.
L’evoluzione della mente e del cervello è strettamente collegata al rapido sviluppo e progresso della tecnologia: è l’integrazione simbiotica della tecnologia con le nostre menti che sta producendo il cosiddetto “potenziamento della mente”. Prensky continua asserendo che adattarci e prosperare in questo nuovo contesto, siamo chiamati ad ampliare le nostre abilità. La tecnologia sta già facendo succedere tutto ciò: sta estendendo e “liberando” le menti in tanti modi efficaci e vantaggiosi, rendendoci migliori e sempre più liberi, ma solo se sapremo svilupparla ed utilizzarla in modo saggio. Oggi gli esseri umani possono concentrarsi di più, calcolare di più, analizzare di più, connettersi di più, comunicare di più e creare di più di quanto abbiano mai fatto prima in tutta la loro storia, solo grazie alla tecnologia.
LA PREPARAZIONE DELL’INSEGNANTE
L’applicazione metodologico-didattica delle moderne tecnologie necessita di una formazione approfondita e costante da parte dell’insegnante, al quale già sono richieste sia specifiche competenze linguistiche che psico-pedagogiche, una marcata sensibilità didattica e un’apertura alla ricerca sia in campo professionale che tecnologico.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) si configurano come occasioni di facilitazione e potenziamento dell’opera di mediazione culturale degli insegnanti: è necessario introdurre in modo ordinario, organico e diretto le ICT nell’insieme delle attività didattiche.
Saper come usare le ICT su una base espressamente pedagogica vuol dire in primo luogo essere in grado di selezionare gli ambienti di lavoro da sottoporre agli allievi in funzione della loro effettiva congruenza con i diversi obiettivi e con i contesti formativi. Ciò comporta che alla conoscenza delle procedure di installazione e di manutenzione dell’ambiente di lavoro, all’apprendimento della sua struttura funzionale, alla lettura ed alla consultazione della relativa documentazione, vanno affiancate la progettazione e la realizzazione di percorsi didattici funzionali alle nuove situazioni di apprendimento. Gli insegnanti necessitano di occasioni di formazione permanente e non di un addestramento “una tantum”. Allo stesso tempo quelle che sono le attività di supporto e di consulenza, relative sia all’attività didattica che alla selezione e costruzione di percorsi formativi, devono essere centrate sui modelli operativi e cognitivi proposti dagli ambienti digitali e sulla loro “spendibilità” per il successo formativo.
CHI È L’INSEGNANTE TECNOLOGICO?
I docenti sono coloro che, in maggior misura, risentono del ruolo detenuto dalle nuove tecnologie nella riforma scolastica e coloro su quali ricade maggiormente la responsabilità di assorbire i mutamenti innescati. Va sottolineata la rilevanza degli insegnanti nello sviluppo degli aspetti innovativi della scuola: un docente, infatti, detiene un ruolo fondamentale nella formazione culturale e nell’educazione dei propri alunni; egli deve rispecchiare il mutamento indotto dalle nuove tecnologie nei modi di comunicare, di condividere, di collaborare e, in ultimo esame, di apprendere degli esseri umani e si trova a dover riflettere sulle nuove conoscenze che deve acquisire.
Questo implica un’innegabile trasformazione che investe lo status abituale nel quale i professori si trovano a svolgere il loro lavoro: le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) li portano a divenire, e riconoscersi, parte di una comunità di pratica, che condivide approcci, metodologie, tecniche e strumenti, favorendo in modo sensibile l’interazione con altri professori, sia della propria disciplina sia di discipline diverse. L’uso del computer, infatti, può caldeggiare notevolmente la realizzazione di lavori interdisciplinari, incoraggiando scambi d’informazione, condivisione di materiali e progetti comuni. Ciò che viene chiesto principalmente è, quindi, questo costante sforzo ad aprirsi ai nuovi modi di apprendere e ai nuovi strumenti di produttività di pensiero e di collaborazione costituiti dai sistemi informatici, ad assumere consapevolmente i cambiamenti che le nuove tecnologie inducono nelle discipline stesse, eventualmente a modificarne in parte la modalità di trasmissione. Un insegnante si trova a riflettere sulla sua capacità di utilizzare la tecnologia per migliorare e facilitare il processo d’apprendimento della propria disciplina da parte dei propri alunni e ad organizzare la classe perché queste possano essere sfruttate in modo efficace. Accanto a tutto ciò, naturalmente, cresce anche il timore dei docenti di fronte al rapido evolversi della tecnologia e al giusto modo per veicolarla. Oltre ad una presa di visione dei propri limiti, può crescere l’incertezza nei riguardi del proprio ruolo: l’insegnante si trova di fronte ad una classe composta da ragazzi nati in un contesto tecnologizzato, già avvezzi a maneggiarne gli strumenti o a comprenderne le proprietà. Un docente spesso si è dovuto adattare (e anche molto rapidamente), ha cominciato con scetticismo, ha avuto problemi di semplice manualità e ha dovuto dedicare molte ore per apprendere un ambiente operativo. Di fronte alla tecnologia si trova in difetto, incerto, non capace di rispondere a tutte le domande o curiosità che il computer suscita, dovendo accettare a volte di non sapere o di essere smentito da un alunno, che non è raro che ne sappia di più. È necessario rendersi disponibili allo stato di cose, abbracciare una prospettiva serena: nella tradizione il sapere è chiuso nella scuola, l’uso della rete apre il contesto, introduce un elemento di imprevisto e questo, se viene gestito bene dal docente, può essere un grande vantaggio, una grande opportunità. L’insegnante assume quindi un nuovo ruolo, quello di guida, di supporto, con la responsabilità di fornire le linee portanti del lavoro, i contenuti didattici, ma permettendo ai propri studenti di elaborarli liberamente.
Gli insegnanti più moderni – forse i più “estremisti” – ovvero quelli che da tempo hanno abbracciato le tecnologie digitali e che non muovono un passo senza il loro computer, costantemente connessi alla rete, spesso gestiscono siti, forum, blog su cui immettono corsi, approfondimenti, compito ed esercizi della loro materia.
Questo lavoro supplementare, che richiede comunque uno sforzo in termini di tempo e risorse cognitive, forse non è sempre ripagato. L’obbiettivo è quello di essere di supporto, di dare possibilità di ricevere formazione anche a coloro che non possono frequentare, che lavorano, che sono ammalati o che sono semplicemente distanti, e che attraverso queste risorse possano trovare sicuro beneficio.
Possiamo distinguere quattro tipologie di insegnante tecnologico:
- L’insegnante che usa le tecnologie nella didattica ordinaria;
- L’insegnante che si serve del Web per comunicare con gli studenti, genitori e colleghi;
- L’insegnante che costruisce ambienti di apprendimento “e-learning” con siti, forum e blog da cui scaricare corsi ed esercizi;
- L’insegnante che conduce corsi sulle tecnologie (che però spesso non se ne avvale).
L’AZIONE DIDATTICA
Nell’ambito dell’azione didattica, la domanda che ci si deve porre come docenti è la seguente: “come può o meglio dove deve essere indirizzata l’azione didattica considerando il potere della tecnologia”? Lo studioso Michele Facci sostiene la tesi che il connubio tra “era digitale” e didattica, non consiste solo, nell’inserire una LIM o dei tablet in una classe, e non si tratta nemmeno di utilizzare un ambiente virtuale di apprendimento o un social network per la didattica, ma che, fare scuola “nell’Era digitale”, significa poter scegliere, con adeguato senso critico, le tecnologie e le modalità per inserirle nei processi formativi. È quindi fondamentale capire se è cambiato qualcosa e come, quali sono i nuovi stili di apprendimento, socializzazione e comunicazione, comprendere se e come vi siano reali cambiamenti cognitivi negli studenti di oggi. Lo studioso Facci sostiene che gli strumenti a disposizione di scuola e insegnanti per non ignorare il mondo dei ragazzi, ormai così intriso dai social media, sono le persone: utilizzare smartphone, e tablet anche a scuola è sicuramente la strada migliore che gli insegnanti possano percorrere nella loro azione didattica. Questo utilizzo ha profonde radici didattiche e pedagogiche, infatti così si valorizza quello che i ragazzi utilizzano nella loro quotidianità. Lo scopo della scuola nell’“Era digitale”, è unire le conoscenze dei docenti anche a quelle dei ragazzi, cosicché questi ultimi, si sentiranno più forti e sicuri nell’uso della tecnologia. L’insegnante non deve diventare un “esperto informatico”, bensì un “esperto di contenuto”, il ruolo dell’insegnante è veicolare attraverso le tecnologie. In psicologia si usa spesso il termine “ecologico”, che in tale ambito prende il senso di utilizzare un qualcosa che è naturale: in questo caso per i ragazzi è la tecnologia. I docenti devono capire che è naturale per i ragazzi apprendere con la tecnologia. Se i ragazzi non sanno qualcosa oggi, vanno a reperire informazioni da internet, se loro hanno bisogno anche solo di approfondire qualunque argomento, utilizzano il web.
D’altro canto, non possiamo neanche pensare di avere una scuola solo completamente digitale. È necessario favorire un approccio didattico equilibrato, cioè inserire le tecnologie con equilibrio, per cui integrare le azioni didattiche classiche con l’apporto di mezzi tecnologici. Provare, ad esempio a leggere una poesia: recitarla attraverso la voce, trascriverla e analizzarla sulla LIM. La scuola non ha quindi bisogno di strumenti intesi come meramente tecnologici, ha bisogno di strumenti conoscitivi, di strategie didattiche per potersi avvicinare al mondo dei giovani, che è sempre più diverso dal classico paradigma della scuola, facendo un salto di qualità in avanti che valorizza le tecnologie. Un ragazzo che vive questo tipo di scuola, è più attento, più motivato, quindi più predisposto all’apprendimento.
I bisogni dei ragazzi sono gli stessi, non c’è un cambio di specie, i “nativi digitali”, hanno gli stessi bisogni delle generazioni precedenti, hanno solo strumenti diversi. E qui nasce una evoluzione: “quella dell’insegnante”.
Il docente ha cambiato in parte il suo ruolo, gli alunni oggi, con l’aiuto della tecnologia potrebbero reperire da soli il sapere: il docente deve avere il ruolo di orientatore: i giovani non posso essere lasciati da soli nel web, perché non avrebbero chi li aiuta e li indirizza nella loro gestione delle emozioni; hanno bisogno di una figura di riferimento che li guidi, nell’apprendimento di nuove conoscenze. Prensky parla di “saggezza digitale”: “Unire le potenzialità delle tecnologie, fugandone i pericoli, alle potenzialità della mente”, significa attuare una compensazione dei limiti. L’insegnate deve essere abile, nel comunicare la potenza della tecnologia, ricordando sempre, da un punto di vista neuro-scientifico, che il giovane non pensa come un adulto, semplicemente, non ha ancora sviluppato le capacità necessarie. La rivoluzione digitale, infatti, che rivela un suo momento particolare nella diffusione della tecnologia Cloud, ha influenzato gli stili di vita, di comunicazione, di socializzazione e di apprendimento, ponendo nuove competizioni agli insegnanti. I docenti sono chiamati a educare generazioni di ragazzi che spesso utilizzano in modo naturale, veloce e spontaneo strumenti tecnologici. Compito del docente, è sicuramente quello di offrire, di mostrare la cornice culturale, le modalità di approccio e le indicazioni che possono aiutarli e sostenerli nella loro azione quotidiana a favore della crescita e dello sviluppo dei discenti nell’era digitale.
La predisposizione di un progetto on-line ed una un’equilibrata combinazione di mezzi, può offrire ad insegnanti ed alunni un mezzo di apprendimento interessante, motivante ed efficace.
Questa prospettiva formativa deve guidare l’insegnante a selezionare gli interventi didattici più adeguati al gruppo/classe, in modo da permettergli di far conseguire a tutti gli allievi gli obiettivi programmati nell’ambito di studio, valorizzando le diversità e le risorse individuali e promuovendo adeguate opportunità di apprendimento per tutti. Diventano quindi sostanziali gli obiettivi formativi, coerenti con quelli didattici e a essi trasversali, favorendo la creazione di una complementarietà produttiva per gli studenti.
Il fulcro dell’attività didattica è quello di realizzare gli obiettivi attraverso la mediazione coerente dell’insegnante, che si pone nei confronti degli allievi in modo tale che non si creino contraddizioni tra il proprio comportamento e le mete prefissate: come si può comunemente osservare, si stabilisce un rapporto direttamente proporzionale tra il tipo di approccio relazionale dell’insegnante e gli esiti conseguiti dagli allievi.
Diviene necessario che tra docente e discente si instauri un rapporto “interattivo”, che oltre all’apporto di conoscenza, guida, controllo e modello che il docente deve offrire, preveda che quest’ultimo riesca a far sorgere nello studente fiducia, responsabilità, creatività e graduale autonomia di comportamento e di giudizio.
CONSIDERAZIONI PERSONALI
Sono un “ragazzo” del ‘67, per cui ho vissuto in prima persona il passaggio all’utilizzo di tecnologie informatiche all’interno delle scuole: in prima superiore, all’ITC M. Buonarroti di Arezzo ero addirittura in una classe sperimentale dove un’ora a settimana di matematica veniva sostituita con un’ora di informatica (Turbo Pascal e Lotus 123). Gli insegnanti che avevo a quel tempo non erano degli informatici, credo che fossero più degli appassionati di tecnologia (quelli che oggi chiameremo “geek”) che hanno frequentato qualche corso pionieristico per l’insegnamento dell’informatica nelle scuole. Hanno avuto comunque il merito di trasmettermi la loro passione per quel “nuovo” mezzo tecnologico che è il computer.
La conoscenza e l’utilizzo dell’informatica mi ha condizionato (credo) perlopiù positivamente, dandomi delle modalità di pensiero e di ragionamento che in effetti vedo molto diverse in chi non ha avuto la fortuna di seguire il mio percorso di studi e le mie passioni. Tutt’oggi nel mio ambiente di lavoro vengo considerato il “tecnologico” del gruppo, ovvero quello a cui rivolgersi quando un PC, un tablet o un telefono hanno qualche problematica.
Avendo appreso molto di quello che so prettamente da autodidatta, capisco la necessità che hanno le nuove generazioni di avere insegnanti che sappiano parlare il loro linguaggio (composto da #hashtag, parole inglesi prese dai videogiochi e messaggi composti quasi solo di consonanti), attraverso i mezzi con cui loro stesso lo esprimono (SMS, WhatsApp, Twitter, Skype, videochiamate e simili). È fondamentale quindi cercare quanto più possibile di stare al passo per non trovarsi in una situazione di gap tecnologico che può creare crescenti difficoltà.