Come lavorano gli scienziati che vanno a caccia di coronavirus nei pipistrelli
Nei pipistrelli di tutto il mondo potrebbero esserci migliaia di ceppi di coronavirus ancora da scoprire: la storia dei ricercatori che li analizzano
Shi Zhengli è una scienziata del Wuhan Institute of Virology. I colleghi la chiamano “donna pipistrello”, perché da 16 anni va a caccia di virus nelle caverne della Cina, prelevando campioni di materiale biologico dai chirotteri appesi a testa in giù. Nelle ultime settimane, Shi ha vissuto il suo incubo peggiore: la comparsa, nell’uomo, di uno degli oltre 5.000 coronavirus sconosciuti che si stima siano presenti in questi animali – in alcuni casi, bombe a orologeria pronte al salto tra specie.
LE PRIME ANALISI. Il 30 dicembre 2019, usando una tecnica che permette di identificare un virus amplificando il suo materiale genetico, Shi e i colleghi di altri laboratori hanno analizzato i primi campioni virali di pazienti di Wuhan colpiti da una misteriosa e aggressiva polmonite. Come racconta lo Scientific American, all’arrivo dei primi risultati, la scienziata ha tirato un sospiro di sollievo: nessuna sequenza era riconducibile a quella dei virus finora trovati nei pipistrelli. Soltanto una settimana più tardi, la prima doccia fredda: i sintomi accusati dai pazienti erano attribuibili a un nuovo virus, per il 96% simile al virus della SARS trovato nei pipistrelli Rinolofidi delle caverne dello Yunnan, in Cina.
È uno scenario che gli scienziati paventano da tempo. Appena un anno fa, Shi e colleghi avevano pubblicato due revisioni (qui e qui) sui coronavirus che mettevano in guardia sui rischi di future pandemie causate da patogeni residenti nei pipistrelli. Le trasformazioni della popolazione umana che preme su riserve naturali un tempo incontaminate, i cambiamenti drastici nel consumo di suolo e il commercio della fauna selvatica hanno reso lo scoppio di pandemie una minaccia sempre più concreta e reale.
INCONTRI FATALI. L’epidemia innescata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è la sesta causata da un patogeno nato nei pipistrelli o nei pipistrelli della frutta negli ultimi 26 anni. Prima di questa ci sono state quella da virus Hendra (Australia, 1994), la malattia virale di Nipah (1998), la SARS nel 2002-2003, la MERS nel 2012 ed Ebola (2014). Non sono i pipistrelli il problema: questi animali sono fondamentali per la salute dei loro ecosistemi. Siamo noi gli intrusi in questo schema.
Già nel 2004, alla fine dell’epidemia di SARS, Shi e colleghi si misero a cercare tracce di coronavirus nei pipistrelli delle grotte della Cina meridionale e subtropicale, nelle province di Guangdong, Guangxi e dello Yunnan. Le analisi includevano appostamenti notturni fuori dalle grotte in attesa che i pipistrelli uscissero per cacciare, trappole per catturarli e prelevare saliva e tamponi fecali, ispezioni delle grotte per raccogliere urina e altre deiezioni. Spesso questi animali nidificano negli antri più profondi e nascosti e per trovarli, occorre esplorare pareti ricoperte di guano. Prima della SARS, gli unici coronavirus noti erano quelli del raffreddore: solo allora si iniziò a cogliere l’inquietante potenziale di questi patogeni.
CAMBIO DI STRATEGIA. In quel 2004, per otto mesi Shi non trovò tracce di coronavirus nei pipistrelli. Finché a qualcuno non venne in mente di cercare gli anticorpi, così come si fa con i pazienti umani. Fu così che si scoprì che, se la presenza dei coronavirus nei pipistrelli era passeggera, gli anticorpi specifici rimanevano nel loro organismo anche per anni. Le analisi degli anticorpi permisero di restringere l’area e le specie in cui cercare a una caverna in particolare: la grotta di Shitou, poco fuori Kunming, la capitale dello Yunnan. Lì dentro, i cacciatori di virus scoprirono centinaia di coronavirus molto vari per profilo genetico.
La maggior parte di essi è innocua, ma diverse decine appartengono alla famiglia della SARS, riescono a infettare cellule di polmone umano in laboratorio e non sono sensibili ai vaccini già disponibili. In quella grotta, nel 2013 fu scoperto un ceppo di coronavirus proveniente dai pipistrelli rinolofidi, con una sequenza genetica per il 97% identica a quella degli zibetti di Guangdong. Così si concluse la caccia all’ospite intermedio di quel virus; l’anello che nel caso del COVID-19 ancora manca.